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BELIEVE ME

Già dalle prime uscite con le amiche o con il gruppetto di scuola, i nostri genitori ci indottrinano sulle procedure da seguire per evitare di essere rapite, violentate o peggio ancora uccise. Queste regole “non scritte” però non garantiscono al 100% la riuscita dell’operazione “tornare a casa sane e salve”.

Oggi vi parliamo di Believe Me perché questa pellicola mette in scena la nostra paura più grande: quella di non riuscire a tornare a casa.

Il film è attualmente tra i titoli del catalogo Netflix Italia, ma è stato distribuito per la prima volta nel 2018 negli Stati Uniti e Canada, sul piccolo schermo (rispettivamente su Lifetime e su Showcase) e comprendiamo subito dal montaggio, a causa dei tagli poco contestualizzati in una piattaforma priva di stacchi pubblicitari, che il film è stato pensato per la tv. 

Gli intrecci e gli sviluppi prefigurano una storia molto densa e il breve tempo – la pellicola ha infatti una durata di 1 ora e mezza scarsa, come spesso succede in film con un budget limitato – porta ad avere una sceneggiatura non solida in tutti i suoi punti, specialmente quando la storia viene fatta andare avanti veloce. 

Il film trae origine da fatti realmente accaduti e ha come protagonista la giovane Lisa McVay, cameriera diciassettenne che una notte, alla fine del turno serale, mentre torna in bici a casa della nonna, viene rapita e stuprata per 26 ore consecutive da Bobby Joe Long.

Dalla narrazione ricaviamo un fedele spaccato delle sistematiche violenze subite da Lisa nel suo contesto familiare, ma la trasposizione pecca di troppi stereotipi della famiglia disfunzionale del sud degli Stati Uniti ormai visti e stravisti: whisky, troppe sigarette, pessime madri e roulotte. 

Ma parliamo adesso del titolo del film Believe Me ovvero “CREDETEMI”: si intitola così proprio perché Lisa, una volta sfuggita al suo rapitore e denunciati i fatti, non viene creduta. La famiglia, vedendola rincasare dopo 26 ore, la accusa di essere fuggita per attirare attenzioni e fanno lo stesso le due agenti di polizia assegnate al suo caso; sarà solo grazie al sergente Pinkerton che la nostra protagonista riuscirà a trovare giustizia

Un personaggio a cui ci siamo affezionate subito il Sgt. Pinkerton, tanto che gli abbiamo affibbiato un nomignolo, il “Sgt. Cravatta” (guardate il film e si spiegherà tutto), ma anche nella sua caratterizzazione, fatta di ostentata brillantezza che spicca nella totale mancanza di professionalità dei suoi colleghi, ritroviamo la stereotipizzazione dei personaggi di cui parlavamo poco fa.

Insomma… pochi soldi e poco tempo sono una combinazione che nella produzione cinematografica portano sempre a qualche buco di trama e personaggi poco realistici (vedi le roulotte di cui sopra).

Nonostante le pecche nella sceneggiatura e nella trasposizione, questo film ha lasciato in noi un segno, e per questo siamo qui a recensirlo. A seguito della visione eravamo così tanto traumatizzate che solamente nei giorni successivi, a mente fredda,  siamo riuscite a raccogliere le idee e ad analizzarlo razionalmente. 

Il momento del rapimento e le successive ore passate da Lisa in compagnia del suo carnefice ci hanno fatto venire i brividi perché, essendo una storia vera ed essendo noi abituate come la protagonista a tornare a casa in solitaria, questa pellicola vede in tutte noi delle possibili protagoniste. A coinvolgere ancor più nella narrazione ci pensa la magnifica performance dell’attrice protagonista Katie Douglas, che per questo film ha ricevuto una nomination per l’ Outstanding Performance – Femminile alla 17th Annual ACTRA Awards svoltosi a Toronto nel 2019.

Questo film ci ha davvero ispirate e nei prossimi giorni vi diremo di più, per adesso vi invitiamo a guardarvi Believe Me (magari in compagnia) e a leggere la storia di Lisa McVay, straordinario esempio di coraggio e autorealizzazione.

Aurora Bui, Elisa Alvelli

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About Gemma Bui

A sei anni comincio la mia rivoluzione di ‘femmina che suona la batteria’. Nel tempo libero suono, scrivo, gioco a calcio e contemplo il lato luminoso delle cose.
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