QUÆSTI CORPI

BODY NEUTRALITY – Parte 2

Perché la Body Positivity non è una buona opzione.

Il femminismo occidentale ha cercato in ogni modo (o almeno nel modo più vendibile e accattivante) di trasformare un corpo non conforme in un corpo BELLO, costruendo un’immagine positiva e amabile di tutte quelle caratteristiche che “ti rendono unica”.

La body positivity mainstream, infatti, è quella parte del movimento che utilizza l’amore per sé stessae, il rosa, le farfalle e i glitter sulle smagliature per combattere il patriarcato.

Non c’è nulla di male nella celebrazione, decorazione o ammirazione del proprio corpo, anzi!

Quello che però sfugge alla logica ottimista del self-love è che, di nuovo, il corpo diventa strumento di auto-realizzazione.

Tutti gli slogan che nascono dal movimento body-positive sono solo un capriccio senza impegno che responsabilizza la singola persona della propria libertà sociale: si scarica su di essa tutte le mancanze strutturali di un sistema fallace tappando i buchi con una rappresentazione ridicola e superficiale delle persone discriminate.

Peccato che la rappresentazione sia l’unico vero strumento di riconoscimento pubblico della nostra identità, e se questa viene inquinata o peggio strumentalizzata per non indagare sulle esclusioni, sulle oppressioni e sulle discriminazioni – perché tanto, se ti ami, che problema c’è? – allora sarà ancora più difficile scendere dal proprio attico del privilegio e pensare ad un corpo non conforme non come ad un corpo bello, ma come ad un corpo LIBERO.

La donna nera, trans, con disabilità e grassa di cui parlavamo nella Parte 1, per quanto possa amarsi, non sarà mai una donna libera finché il compromesso per la sua libertà sarà non avere quel corpo, la cui narrazione condivisa e storica è occasionale e relegata ad un’immagine colorata e luccicante.

In questo senso il corpo delle donne – tutte le donne -, delle persone non binary, delle persone intersessuali e via dicendo, è il mezzo comunicativo perfetto per il movimento body-positive: ne raggruppa tutte le caratteristiche fisiche non conformi, le lancia in faccia agli standard estetici e ci racconta la favoletta che “ogni corpo è un corpo da spiaggia”; e a questo punto chiunque non si sente a disagio a vedere un corpo grasso che balla diventa automaticamente ILLUMINATAE.

Se però quello stesso corpo grasso non ha accesso al mondo del lavoro, è impossibilitato nelle più comuni attività di svago o è oggetto di violenze e micro-aggressioni, la colpa è sua che non si è impegnato abbastanza ad amarsi.

Per tali ragioni, lottare affinché la gerarchia tra i corpi venga distrutta diventa una delle battaglie sociali più importanti: meno un corpo è conforme e meno diritti ha la persona che possiede quel corpo.

Il riconoscimento estetico è solo una superficiale validazione che, in un mondo diverso da questo e certamente più evoluto, non dovrebbe richiederci alcuno sforzo.

Impariamo a pensare ai corpi in base alla loro funzione, non alla loro fruizione.

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