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CIRCEO: quando una storia riscrive una legge.

TW: CONTENUTI VIOLENTI

Allerta SPOILER!

Oggi la rubrica Aentertainment vi parla di una delle produzioni televisive italiane più interessanti di quest’anno: la miniserie TV in sei episodi “Circeo”, scritta da Flaminia Gressi, Viola Rispoli e Lisa Nur Sultan, diretta da Andrea Molaioli e distribuita da Paramount+.

Breve contesto narrativo dei fatti (e della trama, piuttosto fedele), utile ai fini dell’analisi che ne seguirà (qui potete anche leggere l’approfondimento che la Rubrica Giuridicae ha dedicato alla vicenda – http://www.collettivae.org/il-massacro-del-circeo/).
Roma. Il pomeriggio del 29 Settembre 1975, le due amiche Donatella Colasanti e Rosaria Lopez vengono invitate da Andrea Ghira, Gianni Guido e Angelo Izzo, rampolli dell’apparentemente irreprensibile borghesia romana (i tre, formalmente studenti universitari, militavano in realtà in gruppi neofascisti, e due di loro avevano precedenti penali), a trascorrere la serata nella villa di proprietà della famiglia del primo, a San Felice Circeo. Arrivati a destinazione, ben presto il comportamento dei tre ragazzi cambia, divenendo, da gentile e rispettoso che era, violento. Donatella e Rosaria sono tenute per trentasei ore prigioniere nella villa, dove, sotto minaccia di una pistola, vengono ininterrottamente violentate, seviziate, drogate e insultate. All’esito del supplizio, Rosaria Lopez viene affogata nella vasca da bagno. Donatella Colasanti ha invece il coraggio e la forza di fingersi morta. Gli assassini caricano quindi le ragazze nel bagagliaio di una Fiat 127 e ripartono per Roma, dove si fermano per cena. E’ qui che il destino viene incontro a Donatella: le sue urla sono udite da un metronotte, che allerta i Carabinieri, i quali riescono a estrarla ancora viva dal bagagliaio e metterla in salvo.

Il processo giudiziario ai mostri del Circeo – grazie anche al fermo e convinto impegno fin da subito dimostrato dai legali dell’accusa, lo Studio Tarsitano e l’Avvocata Tina Lagostena Bassi (che difenderà la Colasanti in sede civile), oltre che dalle associazioni femministe romane (nella serie – meritevolmente – dipinte come terza parte in causa), si aprirà prestissimo, e in primo grado porterà rispettivamente a tre ergastoli (vanificato sarà ogni tentativo della difesa di sostenere l’infermità mentale degli imputati). In secondo grado la famiglia Lopez accetterà il risarcimento e la pena di Guido verrà abbassata a trent’anni. Nel 1983 la Cassazione confermerà le condanne. Otto anni di udienze e di dolore.

Ghira morirà in Spagna nel 1994 senza aver mai scontato la propria pena; Guido otterrà la libertà nel 2009, mentre Izzo è ancora detenuto dopo aver perpetrato nel 2005 (mentre si trovava in regime di semilibertà) il “Massacro di Ferrazzano”, ed esser stato condannato a un secondo ergastolo. Donatella Colasanti è morta nel 2005, non riuscendo – come avrebbe voluto – ad assistere al nuovo processo nei confronti di Izzo. Noi vogliamo farci portatrici delle sue ultime parole. Parole forse troppo grandi per l’essere umano, che dimentica, mistifica e sbiadisce. Parole che al contrario non subiscono il segno del tempo, non muoiono e non hanno termini di contraddittorietà: “Battiamoci per la verità”.

Il caso del Circeo è pacificamente considerato, in retrospettiva storica, apripista nel processo di riforma della normativa contro la violenza sessuale. Il primo caso forse veramente “forte” (e per questo necessario, come anche viene fatto notare nella serie), abbastanza da sconvolgere la morale cattolico-borghese di un Paese; perché, se è magari vero che la violenza sessuale non costituisce per l’opinione pubblica italiana degli anni ‘70 oltraggio supremo, sicuramente lo fa l’omicidio. Un caso che oggi, insomma, forse anche a causa dell’assuefazione al regresso mediatico votato al puro sensazionalismo cominciato nei primi anni del nuovo millennio (e sulla scia di un processo già iniziato nel 1981 con la vicenda di Alfredo Rampi), definiremmo “televisivo”.

Senz’altro, a posteriori, una fonte di luce oscura a illuminare la via del cambiamento ideologico-culturale relativo allo stupro – e di riflesso, in maniera piuttosto importante, anche al ruolo della donna – nella società italiana, che ha trainato una riforma strutturale relativa alla (cultura della) violenza sessuale, operando un fondamentale cambiamento sotto il punto di vista dei piani di significato: la donna come individuo senziente e – nei limiti del possibile – libero, se non altro, di autodeterminarsi, e non più come feticcio della “morale pubblica”: in caso di stupro l’offesa e la difesa sono riferite, da qui in avanti, alla prima, e non più – come era stato per decenni – alla seconda.

Per darvi contesto, la riforma a cui si fa riferimento è costituita dalla Legge n. 66 del 15 Febbraio 1996, “Norme Contro la Violenza Sessuale”, che va a incidere sull’Art. 609bis del Codice Rocco, il corpus normativo penale di riferimento nell’ordinamento italiano, emanato nel 1930 dal Governo Mussolini. Il Codice, meglio noto come “Penale”, è tutt’oggi vigente; ovviamente, epurato degli elementi di natura fascista originariamente presenti, pur tuttavia in assenza di una riforma organica e strutturale – da più voci del mondo giuridico e politico lungamente auspicata – e dunque costellato da una serie più numerosa e particolare di rimaneggiamenti, anche importanti, come ad esempio questo. Grazie alla riforma, dicevamo, lo stupro viene formalmente riconosciuto come delitto contro la persona, e non più contro la (mera) morale pubblica, come era stato per ben sessantasei anni. Violentare una donna finalmente diventa più grave che “pisciare su un muretto” (citiamo direttamente la sceneggiatura della serie). Da notare che il massacro del Circeo avviene nel 1975, mentre la riforma vede la luce solo nel 1996: oltre a un inquietantemente breve risalenza nel tempo di una normativa (e, di conseguenza, come già sottolineato, automaticamente di una cultura) del genere, le tempistiche ci danno anche contezza di quanto sia lungo e graduale il processo di compenetrazione dei cambiamenti sociali nell’opinione individuale e pubblica di un Paese, ai fini di un cambiamento attivo in quello che – se gli Stati fossero libri – sarebbe l’inchiostro con cui imprimere i caratteri delle coscienze collettive, ovvero l’ordinamento.

Differentemente da “La Scuola Cattolica”, lungometraggio del 2021 diretto da Stefano Mordini, tratto dall’omonimo libro di Edoardo Albinati (2016), vincitore del Premio Strega, che narra essenzialmente la vicenda delle trentasei ore di follia e dei giorni immediatamente precedenti il Massacro, focalizzandosi in particolare sull’estrazione sociale dei protagonisti e operando un’analisi culturale di un Paese intero, “Circeo” si concentra sulle conseguenze più strettamente giudiziarie e mediatiche del caso. Lo fa a più livelli: quello delle lotte, di classe, di genere, e quindi femminista, spesso compenetrate tra loro, messe in scena e disinnescate con un misto di tenerezza e pragmatismo narrativo e normativo; quello processuale, mostrando una regolamentazione relativa ai casi di violenza sessuale che, ieri come oggi, vede le donne costrette a ripercorrere a più riprese traumi già ampiamente difficili da vivere una sola volta (figuriamoci due, o più), coscientemente ignorando la necessità di tutele di sorta o procedimenti agevolati. Ma lo fa anche, e soprattutto, delineando due fronti: da un lato, c’è la storia di alcuni – Ghira, Izzo, Guido, la Colasanti e la Lopez, le famiglie, i magistrati, gli studi legali, i collettivi femministi – dall’altro, la storia di tutti e di tutte. Ed è forse proprio questa, in ultima analisi, la grande forza morale e ideologica della vicenda del Circeo: l’aver messo – motivatamente – a processo la cultura di una nazione, abituata a una mentalità figlia del proprio tempo, plasmata dalle due maggiori circostanze storiche del Secondo Dopoguerra: il Miracolo Economico e la minaccia delle Brigate Rosse. Circostanze secondo le quali, si fa presto a dirsi, la situazione socio-economica italiana era in generale florida, pur in un contesto politico irrequieto; perciò, per avere la certezza che tutto andasse bene, era sufficiente che le ragazze stessero a casa e non si cacciassero in situazioni pericolose. Quella che oggi, pur col vantaggio di una lente ottica graduata sul presente, interpreteremmo come una chiara amputazione alla libertà femminile collettiva.

 
Un cenno infine anche alla produzione, materialmente intesa, di “Circeo”. Dal punto di vista tecnico, buone le prove di regia di Andrea Molaioli, di sceneggiatura di Flaminia Gressi e Viola Rispoli, e di fotografia del DOP Davide Manca. Degne di nota anche le interpretazioni di Greta Scarano (nel ruolo fittizio e ideologicamente metaforico dell’Avvocata Teresa Capogrossi, ispirato alla giornalista Mariella Gramaglia), Ambrosia Caldarelli (che, nonostante la prima esperienza nei confronti del grande pubblico, dimostra la preparazione e la forza attoriale necessarie a reggere l’emotività che un ruolo simile porta con sè), Guglielmo Poggi (che impersona un Izzo dalle marcate tendenze psicotiche e maniacali) e Pia Lanciotti (un’esperta e fiera Tina Lagostena Bassi, “l’avvocata delle donne”). Promossi anche le scenografie e i costumi. Ma sicuramente ciò che rende “Circeo” quella che è, è, come dicevamo, la storia. Una storia tanto forte da cambiare una legge e – si spera, sempre di più – modificare una cultura. Una cultura che non ha – purtroppo – ancora visto un punto d’arrivo (e forse non lo vedrà mai); che perciò rende “Circeo” più che mai necessaria e attuale, e quindi (almeno a detta di chi scrive) complessivamente riuscita.

Noi vi consigliamo di guardare “Circeo”, e se possibile di farlo mettendovi criticamente in dubbio, senza quella solita, apparente certezza che un qualche tipo di processo, in primis quello contro noi stessi e noi stesse, non possa, un giorno o l’altro, riguardarci.

Fonti: SkyTG24, Repubblica, TVBlog, Fabrique Du Cinema, Altalex

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About Gemma Bui

A sei anni comincio la mia rivoluzione di ‘femmina che suona la batteria’. Nel tempo libero suono, scrivo, gioco a calcio e contemplo il lato luminoso delle cose.
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