RASSEGNA STAMPA

Comunicazione sessista?

Il micromondo del giornalismo rispecchia una società discriminatoria.

No, non sono un’eccezione.

I titoli sessisti dei quotidiani ci sono da sempre e, da sempre, rispecchiano una società a dir poco discriminatoria.

L’altra sera, a cena con alcuni colleghi uomini, mi è capitato di parlare dell’utilizzo di due linguaggi diversi – giornalistici, pubblicitari, ma poco importa l’ambito quando la comunicazione è sempre specchio della realtà – a seconda che i protagonisti siano uomini o donne. Sei donna, una sportiva di successo? Sarai chiamata col nome di battesimo e la tua professionalità arriverà dopo il tuo essere bella o mamma. Sei un uomo che fa politica? Quello che hai raggiunto l’hai ottenuto per merito, mica come quell’altra senatrice che è arrivata lì aprendo le gambe. Sei donna e sei stata stuprata? Probabilmente hai fatto di tutto per portare il tuo aguzzino a farlo.

Chiacchiere da bar. Il giornalismo in Italia diventa corrispondenza di una società superficiale e fallocentrica.  

Il risultato? Sono stata additata come “quella pesante”, che non capisce “che il mondo va così”. Inopportuna anche solo nel far notare certe abitudini sessiste e penalizzanti. 

Ora, davanti a discriminazioni di genere date per ovvie e necessarie anche nel linguaggio di tutti i giorni, vorrei fare un ragionamento più ampio per provare a comprendere come, nel 2021, siamo costrettæ a sgomitare anche solo per avere riportato il cognome – e con esso una parvenza di dignità – nel titolo di un giornale. 

Non è questione di essere noiosæ, di minoranze da tutelare o del puntare i piedi.

È una questione culturale, di legittimazione. In una società ancora dichiaratamente patriarcale, pensare alle donne come a una categoria e non come alla metà del genere umano, come a un sassolino nella scarpa da livellare il prima possibile, è alla base delle discriminazioni. E, di conseguenza, di un proliferare di orgoglio maschile che si fa maschilista. 

Qual è il rischio che ogni giorno vediamo farsi concretezza, con titoli di giornale sminuenti e un linguaggio minimizzante?

Facile: che la donna stessa risulti da meno rispetto all’uomo. Che gli abusi, le violenze, le ingiustizie vengano ridimensionati e resi conseguenza dell’agire femminile. Spesso si legge “ha ricevuto messaggi hot”: no, è stata molestata.

“È stata uccisa dal compagno abbandonato”: no, è stata ammazzata da un assassino.

Il processo è sistemico, la polarizzazione dei sessi è scritta nel nostro coriaceo retaggio culturale italiano: l’unico sistema possibile, probabilmente funzionale solo nel lungo periodo, è continuare a denunciare la comunicazione sessista, nella speranza di raggiungere un codice comune di linguaggio, dove non solo le donne – ma qualsiasi identità binaria e non binaria – possano trovare una comunicazione ampia, giusta, riconosciuta.

Paritaria.

Martina Carnesciali

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Le storie, i libri, il prosecco. Perché la libertà passa anche da come si racconta il quotidiano.
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