GIURIDICÆ

Cosa s’intende per VIOLENZA SESSUALE?

Facciamo chiarezza.

L’art. 609 del nostro codice penale afferma che per violenza sessuale s’intende la circostanza in cui un soggetto, tramite violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, ne costringa un altro a compiere atti sessuali.

Tale reato è punito con la reclusione da sei a dodici anni.

La stessa pena si applica a colui che induca un soggetto a compiere o subire atti sessuali abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto, o a chi la tragga in inganno sostituendo il colpevole ad altra persona. 

Lo stesso codice, all’art. 609 bis, prevede altresì l’autonoma fattispecie di violenza sessuale di gruppo aggravata.

Si tratta di delitto commesso da “chiunque partecipi, con più persone, ad atti di violenza sessuale di cui all’art. 609 c.p”.

Perché tale fattispecie di reato si configuri, la condotta deve consistere in un abuso sessuale pluripersonale, cioè posto in essere contro la volontà ed il consenso della vittima, da più soggetti contemporaneamente tramite costrizione, violenza, minaccia, abuso di autorità, induzione, abuso delle condizioni di inferiorità psichica e fisica, inganno della persona offesa.

Come sopra anticipato, si tratta di una fattispecie autonoma di reato, non di una semplice aggravante del delitto di violenza sessuale, ed è caratterizzata dalla sussistenza del concorso necessario proprio, cioè dalla necessaria presenza, al momento e sul luogo del delitto, di più soggetti contemporaneamente quale elemento essenziale del reato.

La pena prevista per chi commette il suddetto reato è la reclusione da 8 a 14 anni.

Se il codice pone la sua enfasi sugli elementi della violenza, della minaccia o dell’inganno, la Convenzione di Istanbul del 21 Maggio 2011 (ratificata dall’Italia nel 2013) ci dà una definizione più ampia di violenza sessuale poiché fa riferimento al consenso.

Infatti all’art. 36, paragrafo 2, viene specificato che il consensodeve essere dato volontariamente, quale libera manifestazione della volontà della persona e deve essere valutato tenendo conto della situazione e del contesto”. Sarebbe dunque punibile ogni atto sessuale non consensuale e si andrebbero a ricoprire un maggior numero di fattispecie criminose, senza le limitazioni poste dal codice penale per la fattispecie di violenza sessuale. 

Nel nostro ordinamento infatti il concetto di consenso emerge esclusivamente all’art. 50 del codice penale configurando la scriminante/causa di giustificazione del consenso dell’avente diritto.

L’articolo stabilisce che “Non è punibile chi lede o pone in pericolo un diritto col consenso della persona che può validamente disporne”, quindi configura delle ipotesi in cui si esclude la configurabilità di un reato e di conseguenza la punibilità del fatto.  

Ovviamente, per essere valido, il consenso deve rispettare una serie di requisiti. 

Innanzitutto deve essere prestato dall’avente diritto, nonché il titolare dell’interesse tutelato e dunque il soggetto passivo del reato: nel nostro caso, la vittima della violenza sessuale. 

Il consenso inoltre deve essere espresso con volontà libera, quindi deve essere consapevole, deve esistere al momento del fatto, quindi deve essere attuale, spontaneo e infine revocabile. 

Il tema del consenso ha una particolare struttura nel reato di violenza sessuale, nel senso che in questo specifico reato il consenso o la mancanza di dissenso sono parte dell’impianto del reato e quindi ne sono elemento strutturale per la sua configurazione.

Infatti, detto in altre parole, qualora la persona offesa sia consenziente non si integra la fattispecie e di conseguenza non si configura il reato: un atto sessuale consenziente non è di per sé reato, ma lo diventa qualora manchi il consenso. 

La Corte di Cassazione ha cercato di fare chiarezza sul concetto di consenso, precisando in particolare che il reato di violenza sessuale si perfeziona non soltanto se la condotta lesiva sia realizzata in presenza di una manifestazione di dissenso da parte della vittima, ma anche qualora l’atto sessuale sia compiuto in mancanza di un consenso, anche tacito, della persona offesa. 

Inoltre la giurisprudenza è ferma nell’affermare che il consenso della vittima al compimento di atti sessuali deve perdurare lungo tutto il corso del rapporto, potendo quindi venire meno, ed essere revocato, per ripensamento o mancata condivisione circa le modalità diconsumazione.

Ha inoltre chiarito che non è necessario che il dissenso della vittima si manifesti durante tutta la durata della condotta criminosa, ma è sufficiente che sia estrinsecato al momento iniziale.

Sempre con riferimento specifico al reato di violenza sessuale, in un’importante e recente sentenza, n. 5512/2019, la Corte di Cassazione ha affermato che non è possibile desumere il consenso della persona offesa dai comportamenti da essa tenuti successivamente alla violenza.

Nel caso di specie, il fatto che la donna si fosse fatta riaccompagnare a casa dal violentatore, a seguito dello stupro, non poteva in alcun modo costituire un indice da cui desumere il consenso della stessa all’atto sessuale, ma – secondo la Corte – questa era solo una reazione conseguente al forte trauma subito; né tanto meno questa circostanza poteva in alcun modo rilevante al fine della valutazione di attendibilità e credibilità della testimonianza della vittima. 

Un importante passo avanti, quello fatto dalla Suprema Corte, in favore delle vittime di violenza sessuale, che troppo spesso, in aggiunta ai traumi, subiscono una gogna mediatica infamante e del tutto immotivata.

Isabella Cuseri, Emma Ciofini, Aurora Bui

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Ho un debole per le cause perse, per il cioccolato e per le scarpe. Sogno da sempre di far arrivare primi gli ultimi.
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