I grandi occhi di Margaret Keane
Molte donne sperimentano sulla propria pelle cosa significhi soffrire della sindrome dell’impostore, quella condizione – in genere prettamente femminile- che porta a dubitare delle proprie capacità e dei propri successi, attribuendoli alla fortuna, alla buona sorte o, addirittura, a presunti aiuti esterni.
Questa propensione è frutto della nostra società patriarcale la quale, fin da piccole, ci insegna che valiamo di meno, che siamo meno intelligenti e meno capaci dei maschi.
Le suggestioni provenienti dall’esterno, creano nella mente una condizione di inferiorità percepita, nella quale ci convinciamo di avere dei limiti oggettivi che ostacolano il raggiungimento dei nostri obiettivi.
Margaret Keane è una di noi, pittrice attiva nella seconda metà del ‘900 e ancora oggi in vita, esempio lampante di quanto la società, i costumi o un marito particolarmente pieno di sé – diciamo così-, possano frenare la scalata al successo di un’artista.
Nessuno è stato in grado, però, di fermare il suo talento.
Vita
Margaret Keane nacque a Nashville, negli Stati Uniti, il 15 Settembre 1927. Sin da bambina si appassionò all’arte, in particolare alla pittura. Alla sola età di 10 anni cominciò a prendere lezioni di disegno. La sua arte affascinò tutti fin dall’inizio, tanto da essere conosciuta nella chiesa locale proprio per i suoi disegni di angeli con gli occhi grandi e le ali cadenti. Da ragazza, studiò alla Watkins Art Institute di Nashville e alla Traphagen School of Design di New York City, continuando ad affinare sempre più il suo già innato talento. Si sposò giovane, e nel 1950 ebbe la sua prima e unica figlia, Jane. Il matrimonio, però, non durò a lungo, così Margaret nel 1958 decise di trasferirsi con la figlia a San Francisco, pur essendo senza soldi né lavoro.
La vita a San Francisco
All’inizio, per Margaret fu difficile integrarsi nell’ambito lavorativo e nella vita sociale di San Francisco, dal momento che, in quegli anni, le donne divorziate non erano ben viste. Dopo molti sacrifici, riuscì finalmente a trovare lavoro in una fabbrica di mobili, guadagnandosi da vivere tramite la dipintura dei prodotti. Nel weekend, esponeva i suoi quadri per strada o faceva ritratti a pagamento, e fu proprio in una di quelle occasioni che conobbe Walter Keane, anche lui pittore.
Rapporto col marito
Non passò molto tempo prima che Margaret e Walter decidessero di sposarsi, poiché l’ex marito di lei minacciava di toglierle la figlia con l’accusa di incapacità, essendo una donna divorziata, di accudirla a dovere. Walter fin dall’inizio percepì il talento di Margaret, convincendola che si sarebbe dovuta far conoscere: fu proprio lui a mostrare le tele della moglie ad alcuni esperti di sua conoscenza.
La situazione, però, le sfuggì di mano. Walter era molto bravo nel commercio delle opere d’arte e la convinse che, se tutti avessero saputo che era stata lei a dipingerle, nessuno le avrebbe più comprate. Margaret era succube di questo rapporto e mentiva a chiunque pur di rispettare ciò che Walter le ordinava. Iniziò a mentire anche alla figlia Jane, in casa dipingeva segregata dentro uno sgabuzzino chiuso a chiave, in modo che nessuno potesse vederla e scoprire il suo segreto. Inizialmente, provò ad opporsi alla decisione presa dal marito, ma oppressa dai suoi comportamenti e dalla morale patriarcale della società del tempo, si rassegnò all’idea che nessuno avrebbe mai saputo che quei quadri erano stati dipinti da lei.
Fama e oppressione
Nel 1960, ci fu l’inaugurazione della galleria Keane, dove vennero esposte le opere di Margaret sotto il nome di Walter Keane. Walter era sommerso dalla fama, i giornalisti gli facevano foto e interviste, veniva invitato nei programmi televisivi e chiunque gli chiedeva autografi. Margaret si sentiva trasparente. I complimenti che venivano fatti a Walter, anche di fronte a lei, erano il risultato del suo duro lavoro e del suo talento, ma per il mondo lei non era nessuno. Ella si sentì così oppressa che supplicò il marito di dedicarle un piccolo spazio nella mostra, per esporre quadri con uno stile completamente diverso firmati a nome suo. In quei quadri, decise di firmarsi MDH Keane. Gli fu concesso, ma non appena Walter si accorse che i clienti erano interessati anche a lei e con lei amavano conversare, le ordinò di zittirsi dicendole che non avrebbe dovuto permettersi.
L’inizio della fine
Nel 1963, Margaret scoprì che Walter si era già appropriato di opere altrui. Rovistando nel suo sgabuzzino, trovò dei quadri con un’altra firma. Fu così che scoprì che Walter non era mai stato un artista e che i dipinti che spacciava per suoi non lo erano affatto. Margaret voleva solo uscire da quest’incubo, ma il marito arrivò al punto di minacciarla di morte se solo avesse detto la verità a qualcuno. Era terribilmente spaventata e non sapeva come uscirne. Nell’Aprile del 1964, uscì un articolo sul New York Times con una critica di un quadro fatto da Keane per l’UNICEF, che sarebbe dovuto essere esposto all’Esposizione Universale di New York. Egli, siccome si ritrovò criticato e col nome infangato, delirò sia dinnanzi all’autore dell’articolo, che a casa con la moglie e la figlia Jane. Quella che fino a quel giorno si era limitata ad essere violenza psicologica, sfociò in violenza fisica, così che, nel cuore della notte, Margaret decise di scappare e di rifugiarsi alle Hawaii con la figlia, stabilendosi nella città di Honolulu.
Una nuova vita
Un anno dopo la sua fuga, Margaret venne rintracciata telefonicamente da Walter, al quale erano arrivati i documenti per il divorzio. Walter riprese a ricattarla: in cambio della sua firma, Margaret avrebbe dovuto cedere i diritti dei suoi quadri a Walter e spedirgliene altri 100. Inizialmente, Margaret decise di sottostare ulteriormente a lui, fu grazie alla sua conversione religiosa ai testimoni di Geova se non lo fece. Intraprese un percorso di fede nel quale riuscì a distinguere giusto e sbagliato, per sé stessa e per le persone che le stavano intorno. Decise di dire finalmente la verità in una trasmissione radiofonica di Honolulu. La notizia si diffuse in tutto il mondo, Walter dichiarò che Margaret si fosse inventata tutto, che avrebbe avuto bisogno di cure psichiatriche, fino a quando i due non finirono in tribunale. Walter provò a dimostrare la pazzia di lei screditandola in continuazione. Il giudice durante la sentenza mostrò infatti gli articoli nei quali aveva affermato che il vero pittore era lui. Quando Margaret andò a testimoniare, spiegò che era stata plagiata e violentata psicologicamente, era stata costretta a fare quelle dichiarazioni. La causa terminò con la vittoria di Margaret, il giudice stabilì questo verdetto facendo dipingere ad entrambi un quadro nel giro di un’ora, per dimostrare chi dei due fosse il vero pittore.
Il quadro dipinto da Margaret Keane in quella sentenza si chiama “reperto 224”, successivamente alla sua vittoria si risposò e tornò a vivere a San Francisco, aprendo finalmente la sua galleria d’arte. Ancora oggi dipinge tutti i giorni, mentre Walter Keane è morto di colera nel 2000.
Martina Salvini, Federica Franzese