Nelle scorse settimane, avrete sicuramente sentito parlare della morte della lavoratrice apprendista ventiduenne Luana D’Orazio, avvenuta il 3 Maggio scorso in un’azienda tessile di Oste di Montemurlo, provincia di Prato, a causa di un orditoio industriale in dubbio stato di manutenzione.
O meglio, questa è la notizia nella forma in cui l’avremmo dovuta e voluta leggere. Al contrario, i titoli in cui ci siamo imbattuti hanno descritto Luana quasi esclusivamente come la ragazza “che sognava di fare l’attrice”, oppure “bella e buona, che amava il suo bambino”.
Evidentemente oggi la bellezza e la maternità smuovono l’informazione intorno a un’emergenza sociale quale la sicurezza sul lavoro molto più di altri temi, in primis la scarsità di tutele lavoristiche, ulteriormente accentuata nei contratti di apprendistato, moltiplicatisi numericamente negli ultimi anni a causa della crisi e dei costi del lavoro, e di quella precarietà ormai divenuta abitudine italiana. Un tipo di narrazione, questo, che pietizza il tema e romanticizza il problema, distorcendo totalmente la portata e la serietà dell’argomento di partenza, e innescando così un meccanismo per cui non è più la notizia a delineare la storia, ma la storia a creare la notizia, in una scala valoriale in cui l’informazione libera, concreta e veritiera cede volentieri il posto alla massimizzazione del profitto editoriale.
Nei giorni successivi al fatto, le varie voci levatesi – Selvaggia Lucarelli su tutti – hanno condannato duramente anche un’altra questione, quella dell’estetica, strumentalizzata come criterio per dettare una sorta di classismo tra morti sul lavoro, rispettivamente distinti in visibili e invisibili: secondo questa tesi, i giovani e belli “venderebbero” più dei vecchi e brutti.
Concezione obiettabile (pur se in parte condivisibile), se si cita, come esempio fra molti, il caso di Samuel Caffaro: anche lui giovane, anche lui bello, anche lui morto, assieme alla cinquantaduenne Elisabetta D’Innocenti, nell’esplosione della società produttrice di cannabis light Greengenetics di Gubbio, con i titolari, Gabriele Muratori e Alessandro Rossi, attualmente indagati. Come Luana, anche Samuel è morto indifeso, denudato di tutte quelle tutele di cui i contratti a chiamata sono tipicamente e tradizionalmente sprovvisti. Tuttavia, la sua morte è stata quasi sottaciuta, e la poca enfasi riservatagli si è comunque principalmente concentrata sul carattere precario del suo impiego.
E’ quindi possibile che alla morte di Luana sia stata destinata la narrazione tipica del romanzo rosa non tanto perché giovane, bella e madre, quanto perché donna? Non è forse questa la chiave di lettura del problema di estetica venuto sollevandosi?
Non ci si spiega come e perché le nostre priorità di informazione dovrebbero essere la maternità e la bellezza, piuttosto che – torniamo a dirlo – l’inserimento di tutele forti e certe nei contratti di lavoro, o la previsione di protezioni e dispositivi di sicurezza adeguati all’utilizzo di macchinari, spesso manipolati per incrementare la capacità produttiva, proprio come l’orditoio a cui lavorava Luana, attualmente oggetto d’indagine.
Forse è perché raccontando in questa veste una vicenda come quella di Luana, una vicenda “che potrebbe capitare a tutti”, distogliamo lo sguardo da un’altra storia condivisa e italiana, più radicata e dolorosa, quella per cui ogni giorno nel nostro Paese muoiono mediamente due persone sul luogo di lavoro (dati INAIL e ISTAT). “Gli uomini sul lavoro muoiono più delle donne!”, è l’ennesima obiezione fuoriuscita dalle costole già abbondantemente fratturate di questa storia, che, aldilà dell’indubbio, maggior impiego di uomini in lavori di forza e potenzialmente a più alto rischio, sembra tuttavia sottacere un altro dato, parimenti significativo: quello occupazionale, che vede oggi la percentuale femminile al di sotto del 50, e quella maschile prossima al 70 (dati OCSE e ISTAT).
Una contestazione, insomma, alquanto fine a sé stessa, dal momento che l’ordinamento giuslavoristico italiano e il settore produttivo ancora oggi sembrano comportare, ammettere ed accettare, consapevolmente e colpevolmente, che si possa morire anche a causa di un’attività apparentemente semplice, sicura e “femminile”, come tessere una tela.
Il 20 Maggio, proprio nel giorno in cui cinquantuno anni fa veniva approvato lo Statuto dei Lavoratori, CGIL, CISL e UIL hanno organizzato una giornata di mobilitazione per la sicurezza sul lavoro, nell’auspicio di pervenire finalmente a un Patto per la Salute e la Sicurezza, siglato tra Governo e parti sociali.
Un primo, importante passo (pur se indubbiamente non l’unico) per cambiare lo stato attuale delle cose: perchè, se forse non è vero che esistono morti visibili e morti invisibili, sicuramente ancora oggi esistono problemi che siamo e che non siamo disposti a vedere.