Ci siamo lasciat*, precisamente un anno fa, con questa frase:
“Una società diventa NEUTRALE rispetto ai corpi che la vivono quando quest’ultimi non condizionano la determinazione e la libertà individuale. E purtroppo, siamo tutt* molto lontan* da questo.”
Si tratta della conclusione di un articolo scritto in un momento molto diverso da oggi del mio personale, ma che ha contribuito in maniera pregiudizievole alla demolizione – e speriamo, alla ricostruzione – di schemi e paradigmi sulla questione “corpi”.
In questo anno sono cambiate molte cose, tra queste anche il mio approccio alla lotta femminista: una lotta soggettiva con incredibili conseguenze sociali, non esauribili ad un’unica storia.
E se è vero, parafrasando Kropotkin, che qualsiasi atto è mosso dal piacere di farlo, evidentemente provavo piacere nel trattare certi temi come se da essi fossi assolta.
Ma andiamo per gradi.
Dal Vangelo, ma anche dall’Ebraismo, dal Confucianesimo e dalla Massoneria, l‘etica della reciprocità è stata estrapolata nell’accezione negativa: “Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te”.
In realtà, Gesù non era così categorico (Matteo, 7:12) e sintetizzò la REGOLA AUREA nell’accezione positiva di “Fai agli altri ciò che nelle medesime condizioni vorresti essi facessero a te”.
E se la percezione del significato non trova particolari differenze tra l’una o l’altra versione, è comunque evidente l’intenzione: nella prima “gli altri” sono un potenziale pericolo; nella seconda, il potenziale pericolo sei TU.
Gesù non aveva tutti i torti: per quanto l’etica della reciprocità sia ovvia in una qualsiasi società moderna, siamo proprio noi a passare dal ruolo di vittime a quello di carnefici, ogni volta che non riconosciamo l’alterità.
Allora mi sono messa a leggere, tanto, di tutto, mossa dall’egoistico – e narcisistico – senso di colpa di non riuscire a fare mai abbastanza per cambiare il mondo.
Da Weil a Spinoza, da Tabucchi a Foucault, da Castaneda a Hickel, da Murgia a Hermange: insomma tutto ciò che potesse rendermi ancora più pesante, disturbante, confusa e scassaovaie – se possibile.
Cercherò di non annoiarvi con il come e il perché l’immenso fiume di parole che mi ha travolta ha messo in atto una seria, serissima, rivoluzione in me.
Nonostante le infinite anime che mi hanno abitata (Ribot e Janet, Medici Filosofi Francesi – Teoria della Congregazione di Anime) non mi sono mai sentita così vicina a Cicerone – o forse Virgilio: EX PLURIBUS UNUM (lett. “dai molti, uno”), che è il motto nazionale degli Stati Uniti d’America, ma anche quello degli Stati Uniti di Gloria.
Ho avuto paura, per un momento, di riconoscermi in tutto e quindi di non riconoscermi in niente; e non parlo di identità di genere (ci arriveremo), di orientamento sessuale o di interessi.
Parlo del fatto che se mai qualche persona mi avesse chiesto “Perché sei femminista?” avrei avuto solo due opzioni: “Perché no?” e “Perché sì!”.
Un po’ riduttive, specialmente se quella persona è davvero interessata alla risposta.
Così, come faccio sempre quando un dubbio diventa un’ossessione, ho preso un foglio a righe e ho fatto un elenco delle mie motivazioni.
Poi ho preso il foglio, l’ho piegato in quattro parti e l’ho buttato nella raccolta differenziata (mi raccomando, fate la raccolta differenziata).
Era inconsistente, confutabile, superficiale e banale.
Perché?
Perché parlava di me.
Non di noi.
E a noi ci tengo sul serio.
Bibliografia
Tabucchi A., Sostiene Pereira, Feltrinelli, gennaio 1994.
Kropotkin P., La morale anarchica, La Fiaccola, (1889) 1984.
Murgia M., God save the Queer, Giulio Einaudi Editore, novembre 2022.
Miller M., La canzone di Achille, traduzione di Matteo Curtoni – Maura Parolini, Sonzogno, 2013.
Miller M, Circe, traduzione di Marinella Magrì, Sonzogno, 2018.