RASSEGNA STAMPA

Osaka Is Burning Out

La scelta di Naomi

Il 31 Maggio scorso Naomi Osaka, tennista n. 2 del ranking WTA nonché sportiva più pagata al mondo secondo la rivista Forbes, ha annunciato il proprio ritiro dal Roland Garros di Parigi, il secondo dei quattro maggiori tornei tennistici, appartenenti al Grande Slam.

La conseguenza inevitabile di giorni di tensioni e polemiche, cominciate sin dalla vigilia del torneo, quando Osaka aveva paragonato le conferenze stampa post – gara al “prendere a calci le persone quando sono a terra”, sottolineandone l’ incidenza sulla propria salute mentale, e fin da subito preannunciando che per tutta la durata del torneo non avrebbe preso parte a nessuna intervista.

“Ho sofferto di lunghi attacchi di depressione fin dagli US Open del 2018 ed è stato molto difficile farci i conti”, ha dichiarato la tennista; ma sono molti i colleghi, uomini e donne, che già prima di lei avevano segnalato, seppur più occasionalmente e senza mai vedersi costretti al ritiro, le difficoltà che la pressione mediatica comporta nel contesto dei tornei più importanti e impegnativi.

La mancata presenza della tennista 23enne in conferenza stampa, dopo la sua vittoria al primo turno, aveva già comportato una multa di $15.000. Sanzione che Osaka ha accettato (chiedendone la devoluzione ad enti impegnati nella tutela della salute mentale) e alla quale ha replicato col ritiro, il primo in assoluto nella storia dei tornei tennistici della massima serie a non essere dettato da problemi fisici. Ed è proprio su questo che dovremmo concentrarci: nella stessa edizione, già l’ italiano Lorenzo Musetti e lo svizzero Roger Federer si erano ritirati, il primo per un affaticamento al ginocchio, il secondo a causa dell’ altissima intensità della prestazione sostenuta durante il match contro Novak Djokovic.

Intensità fisica sì, psicologica no: è questo quello che si legge tra le righe dei vari articoli diffusi dai principali media mondiali, sportivi e non; articoli che hanno definito “clamoroso” il ritiro di Osaka, e solamente “spiacevole” quello di Federer.

E’ evidente il doppio standard con cui i media oggi trattano la salute mentale e fisica nel mondo dello sport; doppiamente stupefacente, se si considera come il mondo dell’ agonismo, ben più di altri, riconosca il ruolo che la componente psicologica gioca nel contesto delle prestazioni sportive. Che il problema sia forse quello di non voler riconoscere ansia, stress e pressione come disagi, al pari (se non addirittura più) di contratture e stiramenti?

A questo riguardo, il mondo sportivo è solo una branca, per quanto fortemente esplicativa, di un fenomeno che colpisce più ampiamente l’ intera categoria sociale dei lavoratori: il cosiddetto burnout, lo stress da lavoro, studiato per la prima volta da H. Freudenberger e C. Maslach, oggi riconosciuto come vera e propria sindrome e inserito nella lista dell’ International Classification of Diseases dell’ Organizzazione Mondiale della Sanità, che in USA colpisce un lavoratore su quattro (il 44% degli intervistati afferma di averlo vissuto più di una volta nell’ arco della vita – Dati Gallup), e in Italia il 25,3% degli occupati, a causa dei carichi di lavoro eccessivi e delle tempistiche pressanti (Dati ISTAT).

Nemmeno le conseguenze sono da sottovalutare:  esaurimento emotivo, depersonalizzazione, atteggiamento cinico, sentimento di ridotta realizzazione personale, frustrazione, insoddisfazione, ridotta empatia; ma anche deterioramento del benessere fisico e sintomi psicosomatici e psicologici, come insonnia e depressione. Fortunatamente Naomi è stata supportata e sostenuta da molti dei suoi colleghi, Novak Djokovic e Serena Williams su tutti. E questa scelta non è certo il primo atto di coraggio e sensibilità che la giapponese ci dimostra: già agli US Open del 2020 aveva fatto notizia la sua decisone di indossare mascherine riportanti nomi di persone uccise dalle forze dell’ ordine.

Naomi ha soltanto ventitré anni, ma ha un coraggio antico, che non ha paura di far luce sulle ombre di contesti tanto patinati quanto conservatori – come, paradossalmente, quello dello sport – scardinandone i dogmi e tentando di cambiarne la narrazione. Una donna che ha molto, moltissimo da perdere, ma il cui unico interesse è mantenere la propria dignità e coerenza.
E a Gilles Moretton, Presidente della Federazione francese di tennis, che aveva alluso all’ “esistenza di regole che richiedono di essere rispettate”, ci sentiamo di rispondere che le regole non sono necessariamente giuste solo per il fatto di essere riconosciute come tali; quando la società, e automaticamente le sue esigenze, cambiano, è giusto che le regole si allineino a questo cambiamento: perché solo in questo modo la regola viene scissa dall’ imposizione.


Negli ultimi giorni, un comunicato diramato dal suo staff ha fatto sapere che Naomi non presenzierà a Wimbledon: la tennista ha deciso infatti, sempre per motivi personali, di proseguire con la sua pausa dal tour. La vedremo comunque alle prossime Olimpiadi di Tokyo (manifestazione anch’ essa controversa, a causa delle affermazioni sessiste del Presidente del Comitato, Yoshiro Mori, poi dimessosi, e delle incertezze e preoccupazioni legate al Covid).


Le Collettivae augurano a Naomi un futuro brillante, nello sport come nella lotta per i diritti, tanto quanto lo è stato – fino ad oggi – il suo passato; nella speranza che si siano compiuti alcuni passi avanti, e che altrettanti se ne possano compiere ancora. 

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About Gemma Bui

A sei anni comincio la mia rivoluzione di ‘femmina che suona la batteria’. Nel tempo libero suono, scrivo, gioco a calcio e contemplo il lato luminoso delle cose.
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