QUÆSTI CORPI

POV

Tra i vari libri che ho letto recentemente ci sono due testi di Madeline Miller, grecista statunitense che ci ha regalato un’interpretazione nuova e disarmante dei poemi omerici: La Canzone di Achille e Circe.

Miller ha deciso di raccontare due storie molto note, l’Iliade e l’Odissea, cambiando il punto di vista della narrazione: si tratta di una tecnica molto usata nei gruppi di scrittura creativa, e permette di allargare il focus dei personaggi per migliorarne l’interpretazione.

Ne La Canzone di Achille il narratore è Patroclo, un ragazzino esiliato dal padre che raggiungerà la corte di Achille e ne diventerà l’ombra.

Tra i due nascerà un amore tenero e intimo, attraversato dagli anni della Guerra di Troia, che porterà Achille a perdere il senno: non per Briseide, la sua schiava preferita, ma per la morte – per mano di Ettore e volontà di Apollo – del suo amato compagno Patroclo.

In Circe, invece, la maga omerica si riappropria della sua storia.

Comincia così: 

“Nacqui quando ancora non esisteva nome per ciò che ero. Mi chiamarono ninfa, presumendo che sarei stata come mia madre, le zie e le migliaia di cugine. Ultime fra le dee minori, i nostri poteri erano così modesti da garantirci a malapena l’immortalità. Parlavamo ai pesci e coltivavamo fiori, distillavamo la pioggia dalle nubi e il sale dalle onde. Quella parola, ninfa, misurava l’estensione e l’ampiezza del nostro futuro. Nella nostra lingua significa non solo dea, ma sposa.”

Circe è una donna che ha vissuto una vita scelta per lei da qualcun altro; non è, quindi, la strega cattiva che ha trasformato degli uomini in maiali, ma una delle tante costrette a difendersi in ogni modo dalla violenza perpetrata sulla sua persona.

E ai suoi occhi, Ulisse non è che uno sciocco: un mortale che girovaga per terre sconosciute uccidendo innocenti, ingannando la povera gente e manipolando ogni donna nel suo cammino, in nome della Gloria Eterna.

Come darle torto.

Entrambi i testi di Miller non raccontano niente di più di ciò che Omero ci ha tramandato, ce lo raccontano solo in maniera diversa.

Nell’Iliade il rapporto intimo tra Achille e Patroclo è sempre stato sotto il nostro naso, così come nell’Odissea l’arroganza e la megalomania di Ulisse.

Eppure, abbiamo deciso di trasformarli in due aitanti e mascolini eroi, pronti a tutto per la f**a e per la patria (perdonate la volgarità).

E questo dice molto più su di noi che su di loro.

Certo, quanto più è fervida e allenata la nostra immaginazione, tanto più lo sarà la nostra empatia, ma il titanico sforzo di immedesimarsi in qualcosa di scomodo per noi porta con sé spaventose conseguenze: essere pront* a giocare il ruolo del cattivo nella storia di qualcun’altr*.

Ed io, un anno fa, non ero affatto pronta.

Anzi, cercavo di tirarmene fuori con ogni mezzo che avevo: la mia giovane età, la mia condizione socio-economica, il colore della mia pelle, l’inesperienza nell’attivismo e tante altre giustificazioni egoriferite che non mi mettessero nell’irreversibile condizione di dover portare altre bandiere oltre la mia.

E neanche adesso sono pronta, a dirla tutta.

Perché anche se decostruire e ricostruire sono due processi paralleli, non è detto che vadano alla stessa velocità.

Se ci fosse una maniera rapida e indolore di immedesimazione, pigra come sono l’avrei già trovata.

Ma non c’è, e bisogna passare per forza dalle contraddizioni che ci abitano per poter convivere con tutte le prospettive.

Insomma, bisogna riconoscere di essere “cattiv*” per essere realmente “buon*”.

Bibliografia

Tabucchi A., Sostiene Pereira, Feltrinelli, gennaio 1994.

Kropotkin P., La morale anarchica, La Fiaccola, (1889) 1984.

Murgia M., God save the Queer, Giulio Einaudi Editore, novembre 2022.

Miller M., La canzone di Achille, traduzione di Matteo Curtoni – Maura Parolini, Sonzogno, 2013.

Miller M, Circe, traduzione di Marinella Magrì, Sonzogno, 2018.

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