Recentemente testate giornalistiche e TG si sono occupate, in modo piuttosto assiduo, di un caso di violenza sessuale di gruppo avvenuto a Cala Volpe, in Sardegna, nell’estate del 2019. Tale fatto di cronaca è risultato estremamente “appetibile“ per la stampa, soprattutto a causa della notorietà degli individui protagonisti della notizia.
Molto di meno (anzi quasi per nulla) si è parlato di una vicenda analoga, perpetrata ai danni di una diciottenne da quattro ragazzi tra i 20 e i 24 anni, nel febbraio di quest’anno, a Campobello di Mazara- Trapani.
La sera dell’8 febbraio, la giovane trapanese è stata invitata ad una festa da alcuni amici di vecchia data. I quattro le avevano assicurato che alla serata avrebbero partecipato anche altre persone, ma una volta giunti sul luogo dell’evento ad attenderli non c’era nessuno.
Il gruppo si è intrattenuto per un po’ ascoltando musica e bevendo alcolici e, successivamente, la ragazza si è consensualmente appartata con uno dei coetanei. Sfortunatamente, come riferito dalla vittima agli inquirenti, dopo poco gli altri tre hanno fatto irruzione intromettendosi nel rapporto, nonostante lei avesse manifestato il suo dissenso, sia verbalmente che fisicamente. Del tutto inutili sono stati i suoi sforzi per opporsi; disinteressati ed incuranti della sua volontà, i quattro hanno continuato ad abusare sessualmente di lei e a deriderla mentre tentava di difendersi.
A seguito degli eventi sopra narrati la ragazza, inizialmente non creduta dai suoi familiari, ha denunciato i fatti e la Procura di Trapani ha aperto un’indagine a carico dei quattro giovani, disponendo intercettazioni telefoniche ed ambientali che hanno portato all’irrogazione di misura cautelare sui giovani indagati per pericolo di inquinamento delle prove e rischio di reiterazione del reato.
Due casi simili, che spiccano per l’efferatezza delle violenze poste in essere dagli autori nonostante la loro giovane età; ed è proprio la loro giovane età a farci capire quanto lavoro ancora oggi ci sia da fare per affrancarsi da una cultura maschilista e patriarcale che vede il corpo della donna come un mero oggetto, un tramite per arrivare alla propria soddisfazione…non importa attraverso quali atrocità.
Le vittime di episodi di violenza, come quello di cui sto scrivendo, subiscono traumi che non possono essere qualificati e quantificati, perciò non possiamo stupirci se alcune di loro impiegano del tempo per denunciare…. e il fatto che la società, gli inquirenti e spesso anche le famiglie non credano alle loro storie, decisamente non aiuta.
Come ho scritto sopra, anche il padre della ragazza trapanese inizialmente non ha creduto al racconto della figlia ma, dopo aver appreso delle violenze da parte degli inquirenti, l’ ha sostenuta nella sua decisione di denunciare ed ha rivolto un appello a tutte le vittime di violenza sessuale “Alle ragazze violentate che non hanno la forza di denunciare dico: bisogna farlo senza se e senza ma, perché va affermata la legalità e la dignità di ogni donna”.
Come Collettivae condividiamo le sue parole, anche se arrivate un pò in ritardo; è necessario tenere sempre a mente l’importanza di denunciare episodi simili (anche se con i propri tempi) poiché denunciare costituisce l’unica strada per riaffermare giustizia laddove è stata violata.
Aurora Bui