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Dovremmo tutti essere femministi

O almeno provarci.

” Poiché il genere può essere un argomento molto scomodo da discutere, ci sono modi molto semplici per chiuderla, per chiudere la conversazione. Alcune persone tireranno fuori la biologia evolutiva e le scimmie, e come le femmine delle scimmie si inchinino davanti ai maschi e cose del genere. Ma il punto è che noi non siamo scimmie. Inoltre le scimmie vivono sugli alberi, mangiano lombrichi a colazione, ma noi non lo facciamo. “

Nel 2012 Chimamanda Ngozi Adichie si trova sul palco del TED×Euston per parlare di femminismo.

Il suo discorso, “We all should be feminists”,  ottiene più di 4 milioni di visualizzazioni entrando di diritto tra i pilastri della letteratura femminista internazionale.

E sì, parliamo di letteratura, perché nel 2014 viene pubblicata per la prima volta la trasposizione letteraria del discorso di Adichie e l’anno successivo la casa editrice Einaudi commercializzerà la versione italiana con grandi risultati.

Ma come può un semplice discorso sul femminismo essere tra le basi di un movimento così ampio? Come può un’autrice, che fino a ieri si occupava di romanzi e narrativa, gettare le fondamenta di una rivoluzione in poco più di 20 pagine?

Andiamo per gradi.

La vita.

Adichie nasce e cresce in Nigeria in una famiglia di etnia Igbo, una comunità fortemente influenzata dalla colonizzazione inglese del diciannovesimo e ventesimo secolo; la madre fu direttrice dell’Università locale e il padre, anch’esso professore, riuscì a trasmettere a Chimamanda l’importanza e l’amore per la cultura, in particolar modo per la letteratura.

Nel periodo universitario, trascorso negli Stati Uniti, scrisse una raccolta di poesie, un’opera teatrale e il suo primo romanzo, Ibisco Viola, che ottenne numerosi riconoscimenti internazionali.

Nel 2015 il Times la annovera tra le 100 persone più influenti nel mondo.

I temi.

Adichie non lascia molto all’interpretazione: ogni critica è nitida e centrata; ogni argomentazione è pressoché inconfutabile; è tutto meravigliosamente semplice.

Si parla di genere, di sessualità, di economia, di società, di educazione, di pregiudizi.

Niente resta indietro, ed è immediata l’empatia che l’autrice suscita nel racconto delle proprie esperienze.

Ci spiega come e perché gli stereotipi di genere siano nocivi per gli uomini tanto quanto per le donne, ci illumina sulle antitesi, non più valide da tempo, di una stratificazione sociale egualitaria e ci ricorda che tutto inizia da piccol*. 

“Insegniamo alle femmine a restringersi, a farsi piccole. Diciamo alle femmine: puoi essere ambiziosa, ma non troppo. Devi puntare ad avere successo, ma non troppo, altrimenti minaccerai l’uomo. […] Mi sono sentita dire se non avevo paura di intimidire gli uomini. Non era un mio timore, anzi, non ci avevo mai pensato, perché un uomo intimidito da me è esattamente il tipo di uomo che non mi interessa.”

Nella nostra società, in particolar modo quella influenzata dal Cristianesimo, una donna è destinata a trovare un uomo, sposarsi e crearsi una famiglia e questo crea competizione: non per ambizione personale e autorealizzazione, ma per soddisfare esigenze sociali così radicate da farci dubitare di noi qualora ci sottraessimo.

E questo agli uomini non accade. Non a caso, Chimamanda ribadisce più e più volte quanto sia fuori contesto sminuire gli stereotipi di genere:

“Scegliere di usare un’espressione vaga come “diritti umani” vuol dire negare la specificità del problema del genere. Vorrebbe dire tacere che le donne sono state escluse per secoli. Vorrebbe negare che il problema del genere riguarda le donne.”

Il tono.

L’autrice non ha bisogno di niente di più di ciò che ha già per essere ascoltata: sensibilità, umorismo, essenzialità.

Non servono grandi giri di parole, non sono necessarie complesse basi socio-culturali a sostenere il suo discorso: basta una storia, la sua, e la pacatezza di chi fa un’esperienza e ne interiorizza il più profondo significato, senza scivolare sulla superficie di un movimento troppo spesso frainteso. Distrugge con la semplice logica ogni stereotipo sul femminismo, e lo fa insistendo sull’importanza della cultura.

“La cultura non fa le persone. Sono le persone che fanno la cultura. Se è vero che la piena umanità delle donne non fa parte della nostra cultura, allora possiamo far sì che lo diventi.”

Ecco perché un semplice discorso sul femminismo è alla base di un movimento così ampio: non c’è modo di fraintedere, non c’è alcun pericolo di svalutazione e non ci sono contraddizioni.

E’ tutto così reale che la sua storia potrebbe essere quella di chiunque e noi di Collettivae non potevamo non raccontarvela.

Non c’è niente di nuovo o di strano, c’è solo quello che succede ogni giorno, e che ogni giorno, tuttae, dobbiamo combattere.

We All Should Be Feminists, Chimamanda Ngozi Adichie, 2014

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About Gloria Gori

Multipotenziale: faccio tutto ma non sono brava in niente. Non mangio animali, li coccolo e basta. Lotto per chiunque ne abbia bisogno.
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